domenica 27 aprile 2014

Tre minuti, solo tre.

Io sono il tipo di persona che quando ha qualcun altro nei paraggi con un libro in mano, fa di tutto per leggerne il titolo.
Io sono il tipo di persona che abbassa il volume delle proprie cuffie per ascoltare che tipo di musica ascolta lo sconosciuto che la fiancheggia durante il tragitto.

Sono il tipo di persona, insomma, che ama studiare gli altri perché magari da un piccolo dettaglio si può immaginare moltissimo.
Ecco perché amo il mio blog, le telefonate e gli SMS. Perché non sono l'unica come me, in tutto il mondo, e con la copertura di un display certe cose non le puoi intravedere.

E tutto questo l'ho pensato, banalmente, proprio mentre ero sospesa ad una telefonata ed il mio interlocutore indovinava senza indizi l'espressione ben dipinta sul mio viso in quel momento.

L'ho pensato perché non capita sempre così; non sempre i nostri interlocutori sanno o possono immaginare quello che sta succedendo dall'altra parte.

Premessa: se da oggi in poi nessuno dopo questo post mi telefonerà, non lo biasimerò, ma non è colpa mia se so fare tante cose contemporaneamente!

Mi è capito, al telefono, ad esempio di:

1. Scrivere. 
Non spesso, ma diverse volte, nel frattempo, ho scritto soprattutto al pc. Me la sono anche cavata bene, una delle ultime mail che ho inviato (Maurizio, conferma, dai) l'ho integrata proprio mentre ero al telefono con il diretto interessato. In questi casi ti tradisce un po' il rumore della tastiera.

2. Mangiare.
Ma questo non è grave, soprattutto se il telefono squilla ad orari in cui la fame fa capolino normalmente. Poi tanto queste non sono cose che si possono nascondere, soprattutto parlando a bocca piena, ed alla fine ci rimedio anche un bel 'buon appetito'.

3. Studiare.
Ok, questa lo so che non è credibile, ma l'ho fatto davvero. Ovviamente non ero troppo partecipe alla conversazione ed alla fine ho riattaccato elegantemente. Non era neanche noiosa la persona all'altro capo del telefono, semplicemente gli esercizi di Economia Aziendale mi ipnotizzano.

Della prossima, come vi direi anche di persona, parliamone.

4. Piangere.
Si, ammetto, anche a Sparta si piange. Stranamente nessuno se n'è mai accorto. Ed io non l'ho mai detto. La cosa particolare è che quasi mai il pianto era legato al discorso sostenuto con la controparte, ma magari da una parola viaggiavo chissà dove, trovandomi in determinati periodi della mia vita, e mi sentivo rigare il viso così, a fiato trattenuto o allontanando semplicemente giusto un attimo il telefono. In qualche episodio mi son fatta quasi sgamare 'sei raffreddata?', 'ma sei ancora in linea?', ma alla fin fine ho sempre avuto la meglio. Tanto io non sono una chiacchierona, il mio silenzio non è sintomatico.
Ecco, questo è il mio terribile segreto: se mai vi capiterà di sentirmi tirare su col naso al telefono, non sarà mai raffreddore.
Se mi sentirete dire che mi bruciano gli occhi, sarà sempre e solo per un motivo. Quello di cui sopra.
Ci tengo a sottolineare che non sono una piagnona, non fatevi strane idee.

Mi rendo conto che il post non sia uno dei miei migliori (in realtà ho scoperto di non avere proprio un formidabile metro di giudizio, in questo ambito, ma magari ne riparleremo), ma davvero, questo di non sapere cosa in realtà il mio interlocutore stia facendo, è un pensiero che spesso mi porta lontano con l'immaginazione.
Chissà quanti, parlandoci, intanto staranno: guardando la televisione; sbadigliando; alzando gli occhi al cielo; facendosi la doccia (o peggio); leggendo altrove; dormendo (ahahah, su questa non dico niente, chi mi legge sa già ciò che penso); cercando una buona scusa per riattaccare.

Chissà quanti, invece, staranno semplicemente ad ascoltarci, a ridere delle nostre battute, a consolarci per un pianto stavolta palese, a cantarci una canzone per farci sentire quanto è bello essere stonati.

Un giorno passerò in rassegna i miei compagni di telefonate, per ora mi accontento di essermi confessata io. A volte lo so fare anche io.

Una buona serata, a chi non è come neve...

lunedì 21 aprile 2014

La partenza senza mai ritorno

C'è qualcosa di terrificante nello sguardo della gente.

Nello sguardo che hai visto affogare nel tuo da sempre, come fosse il bagno più coinvolgente di una vita; nello sguardo che avresti saputo disegnare a memoria senza sbagliarne un dettaglio, tante erano le volte che lo avevi contemplato.
E poi, all'improvviso, perdere quello stesso sguardo perché aveva disegnato un confine su misura per te, ma le cose su misura alla fine ti si stringono addosso ed allora devi lasciarle andare.

Ed una volta lasciato andare lo tieni comunque sospeso ad un filo, come un quadro appeso che non da fastidio a nessuno ma che lascia un'impronta importante nel ricordo, perché non ha senso bruciarlo o buttarlo via.
Ed è qui che ti accorgi di quanto sia strano. Perché rifletti proprio su questo: adesso quello sguardo che era un tutt'uno col tuo, si volta altrove vedendoti; adesso non lo troverai più qui e li nel corso della tua giornata; non sarà più il tuo punto fermo.
Ed un po' fa male ma un po' sorridi, in fondo le cose vanno così. Così come dopo un terremoto ci vogliono le scosse di assestamento, così dopo le grandi decisioni ci vogliono i dubbi, le riflessioni ma poi la sicurezza, la forza, la stabilità.

C'è qualcosa di terribilmente affascinante nello sguardo della gente.

Nello sguardo di qualcuno che cammina controvento e sbatte la sua spalla contro la tua distrattamente; nello sguardo di qualcuno che ti serve un gelato, ti chiede un'informazione o l'ora alla stazione.

Nello sguardo, insomma, di uno sconosciuto che tra mille trovi sia stato sempre li, fermo tra innumerevoli movimenti altrui, proiettato verso il tuo che non cercava e chiedeva nulla ma che ha trovato e ricevuto tutto.

Ed ora si che un po' sorridi ed un po' ridi, perché il terremoto è già passato da parecchio e le scosse di assestamento ora non hanno più motivo di continuare. Solo un pensiero ogni tanto, di quelli che non ti fanno paura perché se riesci a non sorbirne alcun effetto allora è un mostro che hai già scacciato da sotto il letto e nell'armadio non ha più posto.
Solo un pensiero ogni tanto perché troppo, troppo tempo tra le nuvole non ci so stare ed accanto alle sfumature tenui e dolci bisogna accettare quelle più forti e scure: l'arcobaleno è anche questo.

So starmene a guardare la pioggia ma non sento il bisogno di affogarci dentro. So tremare se un fulmine cade un po' troppo vicino ma non sento il bisogno di scappare altrove.
So riconoscere i miei fantasmi e circondarmene se è necessario, ma non me li porto dietro con il rischio di farmi intralciare.

In fondo le persone cambiano ma io son sempre come voglio essere. Ecco perché ho bisogno di cose resistenti al mio fianco: è nella mia natura colpire un po' più forte.


Uno sguardo che rompe il silenzio
Uno sguardo ha detto ciò che penso
Uno..
Uno sguardo.
Uno sguardo può durare un giorno
...La partenza senza mai ritorno...

Una buona giornata, a chi non è come neve...

mercoledì 16 aprile 2014

Non lo senti sulla pelle?

Interessanti, ecco come definisco le settimane appena trascorse.

Molto tempo da passare insieme ai miei tre nipotini: mio cognato fuori per lavoro, quindi un lettone diviso con mia sorella maggiore e diverse notti accompagnate dal pianto della piccolina. Mattine che incominciavano presto, con la colazione per i due grandicelli e poi via a scuola ed all'asilo.

Tante risate e poi a metà settimana valigia e borsa pronte per l'Università: pochissime volte mi è capitato che il pullman fosse pieno e che non fosse occupato il posto accanto al mio da nessuno. Molto spesso mi son chiesta se ho l'aria ospitale ed anche con la metà dei posti liberi, chi saliva mi affiancava.

Arrivo dopo le mie solite tre ore, male alla gamba graffiata per prendere la valigia finita dall'altra parte, non si sa come né perché, e poi finalmente.

Finalmente arrivo, ma finalmente molto di più. Un grandissimo sorriso come il ciak che decreta l'inizio di una scena su un set.
Solo che qui nessuno ha bisogno di copioni, di controfigure, di scenografie particolari.
Solo che qui inizia molto di più di una scena.

L'ascensore è lento, ma adesso non c'è alcuna fretta, e quando arrivo la porta si apre al primo giro di chiave: c'è qualcuna delle ragazze dentro. La prima presentazione va quindi a segno.
Un bacio da lei, qualche chiacchiera e poi il buio della camera rimasta chiusa per un bel po'.
Apro subito le tapparelle e poi il vetro: mi piace respirare l'aria fresca e non fa eccessivamente freddo, anzi. Son partita con la pioggia e mi ha accolta il sole.
E lui.

Al telefono, qualche giorno prima, mi ha fatto morire dal ridere: 'Ma tu hai una gemella?Perché quando mi scrivi sei dolcissima, poi ti chiamo e diventi una stronza che non perde occasione per maltrattarmi'. E' un gioco troppo divertente, mi lascia fare che tanto lo sa che vince la gemella buona, come piace a lui.
Anche dopo una piccola nonproprio discussione scoppio a ridere: razionalizza le mie folli congetture e quando mi guarda da innocente condannato ingiustamente, il mio animo da battagliera, dicono vera essenza del mio essere Scorpione, fa un passo indietro.

Sparta lascia un varco a tante coccole, molte parole, tantissime risate ed una infinità di complicità. Rompiamo ogni barriera (ammesso ce ne fossero, in realtà) mentale e troviamo tempo anche per qualche lettura.
Ecco, su questa parte stenderei un velo, anche se forse rischio di far intendere qualcosa di sbagliato a voi, quindi se siete maliziosi avete frainteso, però la cronologia del suo telefono potrebbe sorprendervi. Ma come ben mi si s'addice vi lascerò col dubbio.

I giorni si susseguono veloci, lunghi anche se non bastano mai.
Una frase importante, il giorno prima che il treno parta, ed una 'promessa' per la prossima volta.
Poi la mattina. Sveglia presto ma valigia già piena.
L'ora di pranzo non vede piatti a tavola, ma una porta chiusa alle spalle e la stazione davanti.

Lo azzittisco mentre la sua voce rimbomba nel sottopassaggio, ma lui semplicemente sorride e mi dice che non ha importanza che la gente lo ascolti. Stavolta è un po' tutto diverso anche se infondo siamo sempre noi. L'altoparlante si accende ed io risalgo le scale, da sola.
Lo cerco dall'altra parte del binario, non mi accorgo subito che in realtà mi è proprio di fronte. Gli sorrido facendogli segno di guardare il signore che accanto a me ogni tanto si gira ad osservarmi. Mi sembra anche giusto che un po' rosichi, la gemella cattiva non può soccombere troppo spesso. Un saluto con la mano come l'occasione richiede e poi il vagone mi copre la visuale.
Torno a casa e riapro la finestra.

Inizia la nuova ma breve settimana universitaria. Vado a lezione insieme alla mia adorata collega-coinquilina e poi scappo a casa. Cena golosa, chiamata e comincio a mettere meglio a fuoco quanto appena trascorso.
Se dovessi trovare un sapore per descriverlo direi che è quello dello zucchero filato: sa di rosa, di dolce, di sensazione di cotone che ti si scioglie in bocca e ti lascia le mani appiccicose ma il sorriso da bambino sul viso.

La seconda lezione mi frega: sbagliamo l'orario e perdo sonno. Ne approfitto per studiare con un ottimo risultato, poi arriviamo in aula all'orario corretto. Il professore mi è nuovo, la materia è potenzialmente interessante ma lui è abbastanza strano. Fa esempi incorniciati da frasi che ci lasciano interdetti ma che infondo ci fanno ridere. Sarà forse un modo alternativo per farci apprezzare la sua materia.

Arriva in fretta l'ora di viaggiare ancora, stavolta il percorso è al contrario. Le vacanze Pasquali iniziano domani e questo, stamattina, avrebbe significato una sola cosa.
Avete presente il nuovo film con Russell Crowe, Noah?Quella scena in cui tutti vogliono salire sull'arca e quindi ci si scaraventano contro?Ecco, l'arca è il mio pullman e noi siamo quelli che lo prendono d'assalto. La fermata è pienissima ma io ed un mio amico ci facciamo spazio senza problemi. Ormai la nostra tattica è affinata ed infallibile.
Il viaggio è comodissimo, l'autista accende anche lo schermo e ci mette un bel film.
Tuttavia non temete, a circa un'ora dall'arrivo, il bus della stessa compagnia che fa la stessa tratta ma fermate differenti, ha un guasto: ci lasciamo sorpassare ritardando un po' e gli stiamo dietro, pianissimo, finché non accosta costretto alla resa. Salgono quasi tutti, scomodamente in piedi riempiono praticamente tutto il corridoio del bus e gli scalini.

Ormai però ci siamo. Riconosco lo svincolo, le mie strade, il mare, i negozi.
Sono a casa, affatto stanca e coi polmoni pieni.

Ho anche rivisto il torrente che ho tanto amato con gli occhi.

Stavolta so precisamente dov'ero.

So quello che ho visto, quello che ho provato ed ho riconosciuto i brividi sulla pelle come miei da sempre.



E se avete imparato a conoscermi un po', attraverso le mie righe, potrete immaginare che non mi riferisco semplicemente alle coordinate geografiche che mi ospitavano fisicamente.


E paralizzo la nostra memoria per non perderla mai più.
Mai più.
E penso alle risate ed a quanta gioia che non toccheranno mai.
Nessuno mai.

Una buona serata, a chi non è come neve...


mercoledì 2 aprile 2014

Per un attimo di eterno e di profondo

Scrissi, qualche mese fa, di essermi innamorata di qualcuno di cui non conoscevo viso, voce, profumo, consistenza della pelle.

Tutto è partito da qui. Da un'ecografia in cui sentivo un battito che, seppur tanto piccolo, avrebbe potuto riempire milioni di orecchie facendo immobilizzare altrettanto numerose bocche.

Da li sono cominciate una serie di altre ecografie, mese per mese, cui ho assistito come fossero il film più bello della storia del cinema. C'ero la mattina presto alle file dal dottore; c'ero alla visita dell'ostetrica; c'ero quando mia sorella mandava uno smile scemo per segnalare l'intervallo che passava da un dolore all'altro, sperando che la frequenza fosse sempre più regolare trasformando l'attesa nel vero e proprio travaglio; c'ero quando un foglietto di carta nell'ultimissimo periodo, mi mostrava l'andamento di quel battito e delle contrazioni che via, via diventavano sempre più frequenti.

Ci sono stata anche quella mattina, quella dell'1/04/14, in cui, alle 7.18 il mio telefono, già impostato con la suoneria al massimo in caso di urgenza, è squillato semplicemente per ascoltare mia sorella dirmi che per il tracciato di routine ci avrebbe portato mio cognato ma poi saremmo rimaste io e lei.
Ci sono stata quando il solito macchinario ci ha mostrato che forse quello era il giorno giusto.
Ho atteso insieme a mia sorella tutte le ore necessarie affinché il dottore si liberasse dall'urgenza di turno e nel frattempo passeggiavo con lei nel corridoio, che dicono camminare sia un'ottima cosa per la gravidanza.

Ho atteso fino all'ora di pranzo inoltrata, per ricevere dopo forse neanche un'ora la notizia che il parto sarebbe avvenuto da li a poco.

Tram-tram che non vi dico. Pastrocchio all'asilo fino le 15.30, Scarabocchio da una sua zia perché il pomeriggio avrebbe avuto il compleanno di un compagnuccio.
Ore 13.40 circa, via in macchina insieme a mia sorella Maria Luisa per raggiungere casa di Fausta a prendere le ultimissime cose per la permanenza durante il ricovero. Non avevamo il telecomando del cancello elettronico, quindi parcheggiata la macchina a caso, balzo giù con Luisa che 'rimango in macchina' salvo un attimo dopo vedermela correre dietro 'no, non ce la faccio a rimanere dentro'. Corriamo tipo babbonchie (cit. il mio dialetto) verso l'entrata di casa. (Intanto vi confermo che le chiavi giuste SONO SEMPRE LE ULTIME DEL MAZZO!!). Affannate cerchiamo le pantofole della futura neo-mamma ed il regalino che Scarabocchio dovrà portare all'amichetto nel pomeriggio. Non si trova nessuna delle due cose. La casa un manicomio, Luisa afferra le prime cose più somiglianti a delle ciabatte ed io trovo sto pacchetto.
Corriamo a casa della zia di Scarabocchio; risaliamo in macchina, ri-guidiamo fino all'ufficio di Luisa dove deve lasciare una cosa e ci avviamo verso l'ospedale. Intanto mamma, papà sono già li, insieme a mio cognato ed a Chiara che, correndo, era andata a prendere Beatrice a scuola.

Sala d'attesa, dicono ci voglia ancora un pochino per il parto. Fausta non vuole rimanere da sola nella sala e finché resiste al dolore passeggia nel corridoio insieme a papà che la tiene sottobraccio. Mio cognato, invece, fa il duro come sempre, ma è tutta finzione, lo si capisce dal sorrisetto che fa.

Le doglie ormai sono fortissime, lei rientra nella sala parto e noi aspettiamo tutti fuori. Poco dopo chiamano mio cognato, ha assistito a tutti e due i parti precedenti, non può perdersi questo. Da qui in poi inizia la parte più toccante: sentire i lamenti di mia sorella, quelli li potrete immaginare da voi.

Alle 15:28 sentiamo, (ci mancava solo il bicchiere tra orecchio e porta), il primo pianto. Un po' di voci alte, tanto non c'è nessun altro nelle vicinanze, ma ci azzittiamo l'un l'altro per cercare di ascoltare qualcosa in più che ci dia sicurezza di quello che stiamo immaginando: è nata.

Aspettiamo super impazienti notizie certe da parte dei dottori (tutti simpatia portami via, ma va beh) e riceviamo la primissima foto da parte del padre con mia sorella e la principessa (si, è una lei) in braccio. Non ci sono parole per descrivere il suo sguardo un po' stanco ma commosso.

Poi esce. E' la fotocopia di Pastrocchio. Bellissima, con i capelli scuri ed un bel colorito. Ci dicono pesi anche abbastanza ma a me sembra uno scricciolo.

Unica pecca della giornata, la nascita non coincide con l'orario delle visite, quindi ci fanno rimanere giusto il tempo di baciare la mamma e la piccola e poi andiamo via. Corse varie perché c'è sempre qualcosa che abbiamo dimenticato prima, prendiamo i bambini e le 18:00 arrivano presto.

Stavolta non ci fregano. Abbiamo due ore per gustarci la nostra Lucia Aurora.
La prendo in braccio, facendo a gara con Chiara e Beatrice. Non c'è scusa che tenga, io sono stata la più presente durante la gravidanza, mi spetta proprio di diritto. E' un amore. Ha gli occhietti di Scarabocchio, ma l'espressione, come detto, pare del piccolino.
La bacio piano, mi sembra di cristallo. E' piccola, con la tutina rigorosamente rosa. Tutto quello che le riguarda è rosa: ti credo, Fausta la aspettava con tanta frenesia, una femminuccia. E poi, se l'avete ben capito, avrà molte zie con cui parlare di 'cose da donna' quando sarà più grandicella.

Insomma, tante parole per dire qualcosa di semplicissimo: ieri ho incontrato per la prima volta la bambina più bella del mondo.

Ed è la mia nipotina

Una buona serata, a chi non è come neve...